Una capacità fondamentale e necessaria alla conclusione del ciclo 0-6 nel corredo dei bambini è essere in grado di esprimersi; non solo parlare in maniera corretta dal punto di vista linguistico ma sapersi raccontare: esprimere i propri bisogni, desideri, emozioni con la capacità di affrontare la vita di comunità della scuola primaria.
Riservare uno spazio e un tempo in cui i bambini possono narrare di sé e ascoltare gli altri rimane un caposaldo delle nostre programmazioni educative. Il primo passo per formare queste capacità è essere ascoltati senza giudizi dagli adulti. Questo permette ai bambini di manifestare pensieri ed emozioni liberamente. L’ascolto di tutti in maniera egualitaria inoltre forma la stessa capacità di ascolto: i pensieri e le emozioni di tutti sono importanti. Gli argomenti sono scelti dai bambini o suggeriti dalle educatrici: si può parlare di tutto quello che succede (cosa ha fatto la mamma, il fratellino, l’amico) oppure si gioca con la fantasia e ci si inventano le cose; la fantasia e i suoi voli pindarici sono alla base di ciò che poi diventerà la capacità di proiettarsi nel futuro e progettare la propria vita.
La cura dei bambini passa da queste pratiche, dalle parole che usiamo, da quello che permettiamo loro di dire, i sentimenti a volte anche spiacevoli che permettiamo di esprimere, il tempo che passiamo ad aspettare che escano le parole quando sono incerte.
Roberta Baroni coordinatrice de L’Arca ha scritto questo piccolo racconto per una riunione genitori; una fiaba che parla ai grandi di come sia complicato il percorso dei bambini dall’azione alla parola e di quanto le emozioni si mettano nel mezzo nel farsi comprendere e nel comprendere.
Il posto delle parole
C’era una volta, tanto tempo fa, il Posto delle Parole.
Era un posto speciale, dove parole di qualsiasi tipo e quasi in qualsiasi lingua si potevano incontrare, dove le parole dei grandi si mescolavano a quelle dei bambini, anzi dove spesso le parole dei grandi si fermavano per ascoltare quelle dei piccoli.
Anche quando i piccoli non avevano parole. Come A che aveva un sacco di pensieri dietro al suo sorriso silenzioso mentre varcava l’uscio attaccato alla gamba del suo papà, il quale andandosene lo salutava con un “Ciao zecca!” . E visto che era tale, durante la giornata si attaccava zitto zitto alla gamba di qualche adulto, perché dire “Prendimi in braccio perché mi mancano la mia mamma e il mio papà “era troppo difficile. ‘Fino a quando non parlo forse non mi accorgo di essere separato da loro’. ‘Fino a che non parlo di mamma e papà posso fare finta che non mi manchino neanche un po’’ era il suo pensiero condiviso sicuramente anche da B, la quale preferiva buttarsi a terra e battere i piedi ad ogni piccola contrarietà, spostando così il suo disappunto e il suo fastidio su cose di poco conto, gridando: “Non voglio, no più!”. Certo che il pensiero di mamma e papà impegnati al lavoro era duro da digerire, per non parlare poi di quanto faceva arrabbiare l’idea che erano proprio loro a decidere, e non i bambini, quando e perché si veniva accompagnati al Posto delle Parole che per comodità definiremo asilo.
Chiuso nel suo silenzio con la bocca sigillata come una cerniera lampo, C rimuginava da tempo su queste cose fino a che un bel pianto ed un finale “brutta mamma” gli permisero di comprendere che la mamma non sparisce e non ama di meno il suo bambino se egli pensa e ,soprattutto, dice certe cose. Accorgersi che ci si può arrabbiare con la propria mamma senza distruggerla ha originato un fiume di parole che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “C il chiacchierone”. Arrabbiarsi con la propria mamma e anche con gli altri adulti dai quali dipendevano era quindi possibile e così … “Vecia bacuca e brutta bacheca” tuonava D in direzione di tutte le educatrici che le capitavano a tiro. Ma a volte le parole possono servire a confondere, a celare il vero problema anziché a risolverlo, perché dirne tante è un po’ come distrarsi e cercare di non fare uscire le lacrime…come la bambola di E che “era tanto arrabbiata con la sua mamma ma non piangeva perché la mamma era dentro di lei e se non piangeva non veniva fuori e non andava via”. Quanta fatica tenere sotto controllo la propria arrabbiatura e la propria ansia! Piangere poteva significare “tradire” l’aspettativa della mamma e soprattutto perdere il controllo della situazione.
La mia mamma … il mio bambino …. sono arrabbiato … ti voglio bene … le parole decodificano le emozioni, sciolgono le matasse dei pensieri e diventano veicolo e scambio tra le persone. “Miu amica!” ripeteva orgogliosa F in un italiano un po’ gutturale indicando la bambina seduta accanto a lei.
Era finalmente un bel modo di cercare di intrecciare relazioni costruttive, dopo mesi di indifferenza o di giocattoli portati via agli altri bambini. Ma da un certo periodo dell’anno in poi la frase più pronunciata nel Posto delle Parole detto asilo nido era “Io sono grande”.
“Ti mangio la mano e la bocca e gli occhi e la testa e tutto e divento grande come te” prometteva G che per diventare grande aveva pensato di “mangiarsi” un adulto già bello confezionato. “Io sono grande fino al tetto, fino al cielo” asseriva H noncurante delle sue reali dimensioni e ancora “Ho sei anni” affermava I mostrando tre dita della mano.“Io sono grande” ribadiva L, “Tu sei come M” le veniva fatto notare dall’educatrice, indicando il bambino che le giocava accanto. Dopo qualche secondo di riflessione L rivolta a M riprendeva “M sei grande anche tu?” Ma diventare grandi non era una cosa così semplice, di certo creava un bel po’ di conflitto interno. -Voglio diventare grande ma rimanere piccolo … Se cresco perdo quello che ho? -pensavano i bambini. -Tu sei ancora piccolo! … Ma dai che sei grande ormai! – alternavano gli adulti.
Forse non erano solo i bambini ad avere le idee confuse …La soluzione originale era stata trovata da N: crescere a metà. L’idea le era balenata durante una conversazione … a O facevano male le scarpe … “Ti sono cresciuti i piedi!” le era stato detto dall’educatrice, “Anche a me sono cresciuti” era intervenuto P mostrando invece le scarpe abbondanti “E anche le gambe” aveva aggiunto orgoglioso.“Anche la mia gamba è cresciuta” si era accodata N.“Solo una?” le era stato fatto notare.“Si solo una”.
Ma nel Posto delle Parole alias asilo nido le daremo la possibilità di far crescere anche l’altra …
La storia dell’abbracciato
Un altro esempio di costruzione con le parole è la storia costruita durante il momento della merenda alla mattina dai bambini della scuola dell’infanzia La casetta.