In questo articolo raccontiamo il percorso di una nostra educatrice con Anna, una bambina che per un anno ha frequentato La Casetta. In questo approfondimento ritroviamo l’approccio dei nostri educatori che si basa su l’osservazione dei gesti e dei giochi dei bambini e la loro elaborazione per costruire dei percorsi educativi personalizzati. Inoltre, emerge come il ruolo dell’educatrice sia quello di una figura transizionale: assume un ruolo “come se” fosse una mamma, qualcuno che si prende cura del bambino. Un ruolo di passaggio, senza alcun desiderio di sostituirsi a lei, ma con il solo ruolo strumentale di aiutare i bambini a superare i loro momenti difficili di passaggio.
La storia di Anna
Da circa sette anni lavoro come educatrice. In questo arco di tempo il lavoro di supervisione fatto su noi educatori sia singolarmente che nel gruppo di lavoro mi ha fatto crescere professionalmente e personalmente. Durante questo periodo ho conosciuto tante mamme, tanti papà e tanti bambini e di ognuno di loro ho un ricordo speciale.
Fra tutti i bimbi vi voglio raccontare la storia di una bambina che, per il percorso compiuto, mi è rimasta particolarmente nella memoria e nel cuore.
Anna era una bambina dalla pelle chiara con due occhi grandi e scuri e un bellissimo sorriso. Entrò in asilo all’età di due anni. Sembrava una bambina serena, curiosa e vivace che inizialmente si teneva alla larga da me e che cercava di entrare in relazione soprattutto con i bambini. Anche se Anna non parlava molto, quando aveva bisogno di qualcosa riusciva a farsi capire con la mimica. Arrivava in asilo col suo coniglietto rosa. Durante la giornata non riusciva a concentrarsi a lungo sui giochi e dimostrava di preferire quelli di movimento ed amava mimare le canzoni. Quando cercavo di instaurare una relazione, lei mi faceva dei grandi sorrisi, ma evitava lo sguardo accentuando un lieve strabismo all’occhio sinistro.
Ciò che mi lasciò maggiormente perplessa era che a tavola non riusciva a mangiare con piacere: mangiava poco, non sapeva usare il cucchiaino, preferiva mangiare bricioline di pane e biscotti, prendendoli con la punta delle dita e aprendo poco poco la bocca. Il persistere di tali comportamenti fece sorgere in me delle preoccupazioni.
Quando i bambini entrano nel nido diamo alle famiglie un questionario che funge da anamnesi e ci aiuta a conoscere meglio la storia di mamma, papà e del bambino. In questo caso, non avevamo potuto farne affidamento essendo Anna stata affidata alla zia perché entrambi i genitori, per gravi motivi familiari, non erano stati in grado di occuparsene. Quindi tutte le informazioni ricevute mi furono date da lei.
La zia era una persona premurosa e attenta e cercava aiuto per poter crescere al meglio la bambina. Anche lei era preoccupata del fatto che Anna mangiasse poco. Il distacco dalla mamma era avvenuto all’età di sette mesi, durante lo svezzamento, quando Anna era ancora allattata al seno.
Questa sparizione improvvisa della madre potrebbe aver creato uno shock alla bambina. Ipotizzai quindi che probabilmente era stato il distacco dalla madre in un periodo così delicato come lo svezzamento a causare ad Anna questa difficoltà a livello orale; infatti a ben guardare, sotto questo aspetto Anna era come una bambina di sette mesi. Aveva quindi bisogno di recuperare un passaggio. Fu allora che decisi di pensare a lei come se avesse effettivamente sette mesi.
Durante il pranzo cercai diverse strategie per farla mangiare, ma lei non voleva proprio saperne di aprire la bocca: la teneva sigillata. Avevo l’impressione che mi mancasse la combinazione giusta per aprire la cassaforte. Mi sembrava arrabbiata con me e avevo l’impressione che dicesse “non voglio farlo con te, io aspetto la mia mamma per mangiare”!
E così un giorno mi venne un’idea: la presi in braccio vicino al petto come con un bambino piccolo e le dissi: ” Ma questo uccellino non vuole proprio mangiare, tiene sempre la bocca chiusa, chissà perché… Forse è proprio piccolo piccolo! Lei mi sorrise. Vediamo se questo uccellino ha voglia di mangiare una polpettina?”. Con la mia mano presi un pezzetto di polpetta, Anna aprì la bocca ed io la imboccai: si mangiò quel pezzo e anche il resto della polpetta! E più si rilassava fra le mie braccia e più mangiava..
Ogni giorno Anna e i bambini aspettavano che io dicessi: “Chissà quanta fame ha oggi il mio uccellino…”, prendevo in braccio Anna e cominciavo a proporle il cucchiaino, inizialmente con solo il sughetto della minestra e, successivamente, anche con la pasta. Anna sulle prime si mostrava un po’ recalcitrante, ma alla fine apriva la bocca e mangiava tutto.
Dalle mie braccia Anna passò a sedersi accanto a me riuscendo a mangiare tutta la pappa da sola; poi mi chiamava per nome e orgogliosa apriva la bocca per farmi vedere quanto quella boccuccia d’uccellino era diventata come quella di un leone.
Alla fine avevo fatto una sorta di svezzamento, quello che a lei con la sua mamma non aveva concluso.
Nel periodo in cui questa strategia andava consolidandosi, Anna iniziò a cercarmi molto anche nel corso della giornata, lontano dai pasti. Incominciò a concentrarsi nei giochi che faceva e, per giocare “alla casa”, invece di utilizzare il suo coniglietto rosa o una bambola, come faceva di solito, scelse di usare un topolino di pezza dell’asilo: fu proprio questo pupazzetto a diventare il suo bambino da coccolare al quale si affezionò molto, tant’è che spesso se lo portava a casa per mostrarlo a tutta la famiglia.
E’ proprio in quell periodo che un giorno Anna mi chiamò mamma! Ed io risposi “io non sono la tua mamma, sono Sara”. Cercavo di tenerle vivo e presente il ricordo della mamma anche perché una volta superate le difficoltà materne si sarebbero ritrovate.
Anna alla fine dell’anno era cambiata molto, certo non era divenuta né una mangiona né una chiacchierona, ma mangiava volentieri, parlava meglio e, soprattutto, giocava a lungo con il suo topino.
Al momento dei saluti Anna, che si fermò da noi solo un anno, mi chiese se poteva portare a casa il topino. Generalmente non regaliamo i giochi dell’asilo ma pensai che quel topo aveva una storia e un senso solo con lei e che non poteva essere di nessun altro bambino, così acconsentii a quella che era a tutti gli effetti una vera “adozione”. In quel momento mi venne in mente che anch’io da piccola avevo un coniglietto rosa come il suo, al pensiero mi emozionai molto e, con qualche lacrima, salutai Anna e il suo Topolino accorgendomi che quei due musetti con gli occhini neri erano straordinariamente uguali.