Da molti anni, il nido I cuccioli del Leone inserisce nel proprio progetto educativo un percorso di approccio alla psicomotricità relazionale per i bambini che frequentano l’ultimo anno di nido. La psicomotricità si fonda su una visione globale del bambino: ci si occupa contemporaneamente sia dell’aspetto corporeo e motorio, sia dell’aspetto psicologico: pensieri emozioni, sensazioni. Quando si parla di psicomotricità relazionale la nostra attenzione va in particolare modo agli aspetti riguardanti appunto la relazione, quindi emotivi e affettivi.
Barbara Fiume, attualmente coordinatore di Fincantesimo Monfalcone, racconta la sua esperienza come educatrice formata in questo campo, capace di allestire un setting di approccio alla psicomotricità basato sull’osservazione, l’ascolto e la comunicazione corporea. Il racconto si conclude con l’esperienza di Valentina Dobetti, educatrice che ha lavorato in molte delle nostre strutture, che ci racconta la sua prima esperienza con la psicomotricità relazionale.
“La psicomotricità relazionale non è la classica ginnastica, ma un momento per permettere ai bambini di esprimere la propria capacità di muoversi nello spazio, all’interno di un gruppo, conoscendo i propri limiti e nel rispetto di quelli altrui. Ciò che nasce, è la possibilità di incontrarsi nello spazio, creando relazioni e giochi assieme, grazie anche a materiali destrutturati e semplici che vengono proposti, come ad esempio palle, cerchi, corde, stoffe, cubi morbidi, carta. E’ la fantasia dei bambini che agisce, trasformando questi materiali in case, barche, tunnel, tane, neve (quando giochiamo con la carta) e avanti così, fino a dove ci porta la fantasia.
Si ritorna un po’ a quei giochi che esistono da sempre, da quando i bambini giocavano da soli nei cortili portando via da casa i tappi il filo e i bastoni per costruire mondi paralleli tutti loro, da condividere con gli amici. Di solito facciamo circa 10 incontri all’anno, da gennaio a giugno, quando i gruppi dei bambini si sono consolidati. L’incontro dura un’ora. Ci vogliono almeno due incontri perché i bambini si ambientino, dal terzo incontro si lasciano andare e diventano padroni del gioco. Una parte dell’esperienza è poter “fare la lotta” con l’educatore che guida il gioco. I bambini possono lanciare bombe, coprirmi con stoffe e cuscini, sempre nel rispetto della regola più importante: ” Non farsi male e non far male”.
Come accade spesso nei gruppi, ci sono i più temerari che si lanciano per primi e quelli che guardano, i più timidi, che necessitano di un tempo maggiore per rassicurarsi. Ma alla fine, tutti vengono a lanciarmi qualcosa per poi ridere soddisfatti e pieni di gioia. Penso con tenerezza che sia una liberazione ogni tanto poter sconfiggere “i grandi” che decidono per loro e gli dicono sempre cosa fare e cosa no.
La seconda parte dell’esperienza è coinvolgere i genitori. Gli incontri pomeridiani vedono una partecipazione alta dalle famiglie incuriosite dai racconti dei loro figli. La regola per i genitori è di non parlare, di cercare di giocare con il corpo. Tutti concordano che sia un cosa difficile da rispettare, tolta la parola non sanno bene quale canale comunicativo usare. Così all’inizio molti si fermano e ascoltano i loro figli giocare. Poi molti ritornano un po’ bambini: un po’ dentro e un po’ fuori dal ruolo di genitori. Tutti alla fine dell’ora del gioco si sentono appagati e desiderosi di ripetere l’esperienza.”
Anche Valentina ci racconta quando sia stata coinvolgente l’esperienza:
“Dopo averne sentito molto parlare dalle mie colleghe, ho avuto la possibilità di sperimentarmi in un corso di approccio alla psicomotricità per educatrici, usando gli stessi materiali che usano i bambini ( palle, cerchi, stoffe). E’ molto difficile, in un mondo dove si deve sempre dire qualcosa: li sei solo tu, il materiale che hai davanti oppure il compagno che hai accanto.
Il primo incontro fatto con il mio gruppo di bambini affiancando Barbara, per me è stato difficile. Guardare i bambini correre saltare, tirarsi i giochi e rimanere in silenzio a guardarli solamente. Io gli avrei fermati più di una volta, ma poi vedevo Barbara e la sua tranquillità nel gestire i giochi. Era difficile lasciarmi andare e provare anche io ad entrare nei loro giochi. Forse come adulti a volte facciamo fatica a ritornare un po’ bambini per lasciarci andare con spensieratezza e senza sovrastrutture quali il linguaggio verbale. Nell’ultimo incontro la stanza era ricoperta di carta bianca. Quando sono entrata ho avuto una sensazione di tranquillità, mi sembrava di stare sopra una nuvola soffice, leggera: ho avuto un senso di pace. Abbiamo iniziato a giocare, lanciavamo la carta, la strappavamo e ci siamo coperti. I bambini erano felici. Alla fine ho sentito un senso di liberazione e rilassatezza.