Articolo scritto da Gabriella Bertolini in occasione della partecipazione alla finale del “Premio Nazionale Infanzia-Piccolo Plauto” edizione 2017.
La storia che vi racconterò l’ho intitolata “il brutto anatroccolo” perché, come avviene nella fiaba di Andersen, parla del rifiuto iniziale, parla delle difficoltà che un bambino, apparentemente diverso dagli altri, può incontrare durante l’inserimento. Parla però anche di chi, in questo caso noi educatori, dovrebbe accettarlo senza remore e invece si trova a disagio. Parla di gesti semplici, forse banali, ma che aiutano ad aprire il cuore di chi vuole ricevere amore e di chi glielo dona.
Una volta seguii l’inserimento di un bambino di poco più di un anno. Sin dall’inizio, purtroppo, non riuscii ad entrare in sintonia con lui. Lo soprannominai “caterpillar”, in quanto era alto, robusto, di grande corporatura e con un vocione grosso. Rispetto ai bambini della sua età appariva appunto “diverso” fisicamente. Inoltre il suo muoversi molto irruento e vivace mi faceva temere che travolgesse i bambini più piccoli che ancora gattonavano.
Quando, durante l’inserimento, cercavo di fermarlo se era molto agitato o irruento, lui piangeva, si divincolava con una forza non pari a quella degli altri bambini ed io facevo una fatica non indifferente per contenerlo. In questi momenti di foga sudava tantissimo ed il suo sudore emetteva un odore molto acre, intenso che mi bloccava ulteriormente e mi rendeva difficile il percorso di accettazione della sua presenza nel gruppo e anche solo del fatto che io dovessi occuparmi di lui.
Ad aumentare il mio disagio nei suoi confronti ci fu un lungo periodo durante il quale soffriva ogni giorno di forti attacchi di diarrea: la cacca fuoriusciva dal pannolino da tutte le parti e non sapevo da che parte prenderlo, nel vero senso della parola. Solitamente non ho alcun tipo di problema a cambiare un pannolino, anzi, fa parte del mio lavoro, ma con lui non ci riuscivo proprio, rimanevo bloccata. Ero in crisi, in preda ai sensi di colpa per il rifiuto profondo che provavo nei confronti di quel bambino diverso.
La svolta ebbe inizio il giorno nel quale pensai di occuparmi di lui come se fosse piccolissimo e non quel gigante che mi spaventava e per il quale oltre a repulsione, forse, provavo pure un po’ di paura.
Iniziai a fargli il bagnetto. Nudo, non appena lo immergevo nell’acqua, si tranquillizzava, cessava come per incanto, di divincolarsi, di protestare, la sua irruenza si tramutava in felicità. Io d’altro canto, mi prendevo cura di lui, lo lavavo, gli lavavo i capelli e glieli pettinavo, ma soprattutto, giocavo con lui, cosa che non avevamo mai fatto assieme tanto ero impegnata a difendermi dai suoi odori e gesti. Decisi allora di dedicargli ogni giorno un po’ di tempo con i “bagnetti” situazione speciale inventata da me per noi, per curare la nostra relazione e sanare i miei sentimenti conflittuali. La situazione cominciò così a migliorare: avevamo trovato il nostro punto d’incontro e il disagio iniziale si trasformò in un momento di piacere reciproco, tanto che un giorno d’inverno nel quale non lo avevo ancora portato in bagno mi chiese: “Perché non mi lavi i capelli?”. Io gli risposi che faceva freddo e che non avevo il phon per asciugarglieli, e lui di rimando: “Beh, allora compralo!”. Era ancora molto necessario per lui il fatto che non me lo dimenticassi…..
Dopo il periodo dei “bagnetti” il rapporto cambiò anche durante tutti gli altri momenti dell’asilo: era diventato il bambino con cui mi intendevo meglio, con cui bastava uno sguardo e ci si capiva al volo, giocava con gli altri e godeva dell’esperienza dell’asilo in modo completo.Mi accorsi allora che l’odore del suo sudore non era poi così forte, che la sua cacca era diventata come quella degli altri bambini, un po’ più abbondante, certo, ma questo non mi disturbava più. In sostanza il “brutto anatroccolo” era diventato il mio “cigno”. Ed era riconosciuto fratello uguale tra i pari.
Ebbi la conferma di questa mia fantasia un giorno, parecchio tempo dopo che il bimbo aveva lasciato il nido, quando lo incontrai ai giardinetti e mi fermai per salutarlo. La babysitter che era con lui non mi conosceva e quando lei gli domandò chi fosse la persona con la quale parlava, lui le rispose: “E’ la mia maestra di un asilo bellissimo in cui andavo da piccolo!”.
Sentire queste parole mi ha dato gioia, mi ha ripagato di molte le fatiche. Mi ha confermato che l’accettazione del bambino e della sua famiglia è il primo gradino da superare per riuscire a svolgere bene questo lavoro ed entrare in sintonia profonda con chi ci è affidato.
Mi ha fatto riflettere sull’importanza di quei momenti chiamati erroneamente non-educativi, di routine, apparentemente banali, come la pulizia del corpo. Questi momenti sono in realtà attimi di profonda intimità, di relazione con un bambino e quindi di fatto molto educativi, io e lui ci siamo scoperti, entrambi.
Una cosa ulteriore, personale e molto più profonda, legata al rapporto con questo bambino, la ho scoperta in un secondo momento quando, in supervisione, ho riflettuto su come gli aspetti irruenti del bambino mi appartengano molto. Sono anche io provvista di una vivacità a volte incontenibile ma che, come per il bimbo, non sempre è indice di sicurezza o spavalderia. Ed è proprio in quei momenti nei quali sembro più operativa o “sopra le righe” che il bisogno di essere contenuta come se fossi più piccola è intenso, anche io alle volte ho bisogno di un bel bagno caldo…