Vogliamo ricordare con questo articolo, Loris Rosenholz, il cui asilo in Piazzale Aquileia a Milano è stato l’ispirazione da cui è nata la Casetta nel 1983. Rosenholz ha seguito i soci fondatori come Supervisore del lavoro tra gli educatori e con le famiglie per molti anni a seguire.
Proprio ne “Il Cigno Magico” egli racconta la sua esperienza dell’asilo di Piazza Aquileia fondato nel 1966, un centro di avanguardia per la sua modalità di lavoro: la pedagogia della relazione. In questo contesto l’accudimento emotivo diventa l’ambiente ottimale per la crescita intellettuale e sociale del bambino.
Asilo nido come territorio transizionale
Da quel lontano 1983 tante cose sono cambiate e si sono evolute nel nostro lavoro quotidiano, perché come ci ribadiva sempre Loris, in questo lavoro non bisogna mai smettere di studiare ed evolversi.
Tuttavia, ciò che rimane fondamentale per noi è l’asilo nido come definito da Rosenholz: territorio transizionale.
L’asilo nido è per i bambini il primo luogo di gioco e condivisione di relazioni al di fuori della famiglia.
Questo territorio di transizione tra il luogo intimo della famiglia e la società e le sue regole permette ai bambini di sperimentarsi nel gioco e nelle reazione con gli adulti e i coetanei, creando così – come l’oggetto transizionale ( la coperta di Linus) teorizzato da D.W. Winnicott – un ponte tra realtà e fantasia nel gioco. Permette inoltre al bambino di associare sentimenti interni ed avvenimenti esterni creando un collegamento anche tra la famiglia e ciò che lui vive al di fuori di essa. Questo processo importante per la crescita avviene sotto lo sguardo di educatori consapevoli della valenza del territorio-nido. Sostenere nella costruzione delle relazioni tra pari e offrire possibilità a tutti di esprimersi attraverso il gioco fa sì che il territorio-asilo venga utilizzato al suo massimo.
Da “Il Cigno Magico”
“È bello stare all’asilo”, dice un bambino di 4 anni, trasportato dall’entusiasmo mentre gioca con un amico. “È come l’ufficio dei bambini”. E, dopo una pausa di riflessione, aggiunge: “… E il gioco è il loro lavoro!”
[…] Una bambina di 5 anni inizia una conversazione con un gruppo di coetanei in questo modo: “L’asilo mi sembra la casa dei piccoli, qui mangi, giochi, dormi…” Un’altra bambina la interrompe: “Sì, e fai la pipì, la cacca…” Risate tutto attorno. Prima bambina: “Stupida, mica scherzavo, qui noi facciamo anche le cose che a casa non si può. Saltiamo, facciamo un po’ casino, è come una casa… però è la casa dei bambini.” Un terzo bambino: “Io dico che l’asilo è la nostra tana” – E poi aggiunge con voce emozionata: “…era il rifugio che i grandi non ci trovavano… però solo ogni tanto, eh…!” “Sì… solo per gioco” interviene un altro “Se no come facciamo a vivere sempre qui?” Silenzio e riflessione generale in un’atmosfera sospesa, di leggera tensione, rotta all’improvviso dalla prima bambina che con fare deciso dice: “Noo… l’asilo è COME SE FOSSE una casa ma poi si ritorna dalla mamma!” E dopo questa frase rassicurante la tensione crolla e tutti riprendono a giocare.
Conversazioni e affermazioni come queste ne ho sentite tantissime nel corso degli anni. A parte i casi (rari, almeno da me) in cui l’asilo viene accostato alla scuola elementare, soprattutto da bambini che ne sono alle soglie, l’immagine più frequente con cui viene vissuto è quella di una “casa o ufficio dei bambini” o, in modo più fiabesco, quella di un “luogo magico” dove avvengono, come sul palcoscenico di un teatro, delle rappresentazioni giocate dai bambini con estrema serietà, quasi fossero vere e reali. Che l’asilo possa essere identificato con una casa — di bambini, s’intende — non è difficile da capire soprattutto se si pensa che le abitazioni di città non lasciano molto spazio alla loro fantasia e al loro movimento. Quante volte i piccoli si sentono apostrofare dai genitori, spesso a ragione, con frasi del tipo: “Quando la smetti di giocare ai cow-boys in salotto? Quante volte devo dirti che il divano e le poltrone non sono dei cavalli?”. Oppure, con aggressività repressa: “Guarda tesoro che quello è il coperchio della pentola, non uno scudo… e quello è il mestolo, non una spada.” O ancora: “Maria, non infilarti le mie scarpe con i tacchi, ti farai male e me le rovini…”
Si potrebbe continuare a lungo con la sequela di proibizioni e limiti che siamo costretti a imporre giornalmente ai nostri figli. L’appartamento dove abitiamo è per lo più un territorio per adulti anche se, appena è possibile, riserviamo ai bambini uno spazio tutto per loro.[…]Anche nei casi migliori, la stanza di un bambino, per quanto importante perché si senta a proprio agio, non è ancora un posto ideale per lui che non sempre ama giocare da solo, lontano dagli sguardi dei genitori. Se poi la stanza la deve dividere con un fratello o con una sorella, può diventare fonte di litigi e tensioni, più che un luogo, dove giocare o rifugiarsi nelle proprie fantasticherie. E bisogna anche considerare che il luogo dove il bambino dorme assume delle valenze molto particolari che nessun altro locale può avere (infatti suscita spesso reazioni ambivalenti: viene amato e rifiutato, allo stesso tempo). È vero che qui il bambino ritrova i suoi giochi, il suo orsacchiotto o straccetto preferito che lo attende per affrontare la notte assieme, e persino un certo odore nell’aria molto personale, che rende l’ambiente più rassicurante e familiare. Però è pure qui che si ritrova a sognare e svegliarsi dopo un incubo, quando la paura fa emergere il desiderio di scappare nella stanza dei genitori e di infilarsi nel lettone. Ed è qui che abitano, a volte, alcuni “fantasmi”, che escono dagli oggetti investiti emotivamente, come i loro stessi giocattoli che possono diventare presenze notturne inquietanti. Ecco il racconto di un bambino di 5 anni “lo di notte immagino che i miei robot e i Superman si muovano e mi guardino ed ho paura…sento anche dei rumori, un casino…tutti i giocattoli si mettono in movimento. L’altra settimana ho sognato che la mia stanza era come un disco volante: si alzava alta nel cielo e volava, volava,e io ero dentro al mio letto; prima avevo un po’ paura ma poi mi è passata perché la stanza atterrava qui nell’asilo e non avevo più paura. C’erano i miei amici, poi ho visto l’Erminia (un’educatrice) e Loris, e i giochi non si sono più mossi.”
Giocare all’asilo dà più sicurezza al bambino per la presenza di adulti meno coinvolti dei genitori da rapporti affettivi viscerali, ma anche per il territorio stesso dell’asilo, più neutrale di quello della casa, dove le paure condivise dai compagni di “viaggio” svaniscono più facilmente. Questo processo di rassicurazione col tempo potrà persino portare il bambino a sentire l’asilo come uno spazio di sua esclusiva proprietà.
“ Cosa hai fatto oggi all’asilo?” Con chi hai giocato?”
“Niente… non mi ricordo…”
“Con chi hai giocato? “
“Con nessuno “.
” Allora il genitore, con voce suadente, cerca di aggirare astutamente l’ostacolo: “Quali sono i tuoi giochi preferiti all’asilo?” “Nessuno”.
Con sempre maggiore nervosismo per questa esclusione la mamma incalza:” Possibile che non fai mai niente? … Perché non lo vuoi dire alla tua mamma?”
“Perché… uffa non te lo dico, è un segreto!”
IL SEGRETO! Che bello escludere la mamma e il papà dai giochi e dell’attività dell’asilo! Resta un tempo sospeso, un territorio a cui i genitori raramente possono accedere almeno per un certo tempo, nemmeno attraverso le parole dei figli.
C’è un periodo più o meno lungo di cui parleremo più avanti, in cui il bambino attraversa l’esperienza difficile della separazione-inserimento e dell’ambientazione dell’asilo. Ma superata questa fase, incomincia lentamente a sentirsi padrone del piccolo-grande mondo dove gioca, dove condivide con gli altri compagni i suoi stati d’animo, e da cui può escludere provvisoriamente i genitori per staccarsi meglio da loro. Può affermare il suo io in modo più attivo di prima, diventando l’artefice di questo processo d’indipendenza, in quanto “cittadino” a tutti gli effetti del proprio territorio, con i diritti e i doveri verso le leggi vigenti nel territorio stesso che noi adulti abbiamo emanato nel rispetto delle esigenze di tutti. E un po’ la “revanche” del bambino che riesce a capovolgere la situazione: ora sono gli adulti ad essere esclusi e gelosi! Questa fase di segretezza e di misteri per lo più non dura a lungo, e non si verifica rigidamente per tutti i bambini. Col tempo i genitori saranno informati dal figlio stesso, ma l’iniziativa dovrà essere sua, sarà lui a decidere quando e cosa dire del suo mondo “segreto”.
L.Rosenholz, “Il Cigno magico. Diaro di un educatore”, MIMESIS, 2010.